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4 x 10 Quadernetto di poesia contemporanea

(poesia, Algra, 2015)

a cura di Grazia Calanna e Orazio Caruso

 

Abbiamo scelto di schiudere il numero inaugurale della collana quadernetto di poesia contemporanea porgendo la lettura di quattro scritture poetiche accomunate, pur nelle singolarità stilistiche e concettuali, dall’urgenza di parafrasare il presente riconsegnandolo al presente. Per ognuno degli autori, proponiamo una selezione di dieci poesie: 4 x10. La collana reca il simbolo della x da intendere, coerentemente con la nostra concezione di poesia, nella duplice accezione di moltiplicatore (di significati, significanti, pulsioni, contenuti) e di incognita (oltreché per il lettore per colui che la raccoglie). Tant’è che, soccorre Jorge Luis Borges, ogni poesia è misteriosa; nessuno sa interamente cosa gli è stato concesso di scrivere.

Chiara Carastro è l’unica, giovanissima, figura femminile del quartetto. L’apprendistato della sua scrittura viene dalla musica. E si sente. Svincolata dalle prerogative della forma, con inclinazione che, lontani dal voler dare definizioni, potremmo dire iperbolica, tende l’arco vitale lanciando la lucida freccia dello “spaesamento adolescenziale”. I suoi versi (lievi dileggi) dicono che la bellezza artificiale non basta a colui che sa vedere, che la plastica non fa l’uomo, che l’oro - esanime come la morte - non fa la felicità, che l’artificio della condivisione alimenta la solitudine spingendo il singolo a divenire orizzonte di se stesso. Il mondo è un turno di ruota, solo più breve / e panoramico a caso.

Quella di Antonio Lanza è una poesia sorvegliatissima, gravida di osservazioni e sottigliezze letterarie presenti finanche nell’intermezzo in prosa indispensabile alla qui presente sezione estrapolata dall’inedita Suite Etnapolis. Dalla gestazione alla messa in opera un lavoro che, senza scheggiature o esitazioni, attingendo ai container dei centri commerciali (microcosmi integrali), riproduce il paesaggio antropico del mondo contemporaneo. Con la forza di una scrittura dalla fisionomia indiscutibile narra di esistenze soppiantate dai numeri, un numero di colossale positività, di vizi e vezzi dell’uomo sincrono, sincronizzato col vacuo, l’uomo manichino, chiuso dentro / larghe vetrate a far mostra di sé.

La parabola poetica di Michele Leonardi simpatizza con la musicalità del verso inciso da ricercati riferimenti. L’interazione ironica con le rime cantilenanti sembra omaggiare l’amato Caproni. Altresì, le consonanze finali, quando presenti, sembrano amplificare il pensiero issandolo (come nella prima poesia) sull’orlo della provocazione, è che vorrei venirti tanto in mente. L’autore riprende sul foglio l’esperienza professionale di cineasta sceneggiando, inquadrando, focalizzando per mezzo di una parola potente, reattiva rappresentazione allegorica dell’esperienza vissuta e dell’inappagata quanto inesausta tensione conoscitiva. Oggi il mio vecchio abisso, dunque, s’è dissolto. In ogni lancio cercherò il prossimo Dio.

I versi di Pietro Russo accolgono la proiezione di uno spazio psichico ovattato dal silenzio, un silenzio più grande dei nostri anni, un silenzio che respira nel verso divenendone parte.

Nell’allineamento dei corpi, nell’incastro / tra l’universo e un altro, tra tenebre e luce, dire e tacere, crepe e stupore, attendere e sopravanzare, l’autore richiama il pensiero eracliteo del logos indiviso secondo cui la legge segreta del mondo risiede nel rapporto di interdipendenza tra due contrari. Senza volerla cristallizzare, una poesia loica, lapidaria, i cui momenti essenziali, nell’eguale rovescio della vita, sono il tempo (il calendario che mangia le facce / e si sfarina) e la morte (La grandiosa che ci raschia i corpi).

Ringrazio, entrambi, l’editore Alfio Grasso per le braccia spalancate alla poesia e Orazio Caruso per il coinvolgimento in questo progetto culturale. Augurandomi d’avere stuzzicato la vostra attenzione, vi invito alla lettura a cominciare (come fosse un esergo) dal pensiero di Marina Cvetaeva: “La verità dei poeti è la più invincibile, la più inafferrabile, la più indimostrabile e insieme convincente, una verità che vive in noi solo nell’istantaneo – e pesto – buio della percezione (che cosa è stato?) e che resta in noi come traccia di una luce o di una perdita (ma è veramente stato?).

Una verità irresponsabile e priva di conseguenze, una verità che – Dio ci scampi! – non bisogna neanche cercare di inseguire, giacché anche per i poeti essa è senza ritorno”.

 

(dalla nota introduttiva di Grazia Calanna)